Trattamento riabilitativo dopo l’artoscopia dell’anca

Il FAI (femoro-acetabular impingement) è una patologia microtraumatica dovuta all’impatto della giunzione cervico-cefalica del femore contro il bordo dell’acetabolo. Sebbene questo possa teoricamente avvenire in qualsiasi settore dell’articolazione, la sede più comune è quella antero-superiore. I gesti responsabili, pertanto, sono quelli che associano flessione e intrarotazione.
Tale conflitto non si verifica nell’anca normale se non in posizioni estreme che non vengono assunte se non eccezionalmente. I pazienti affetti da sindrome conflittuale, invece, presentano dimorfismi del cotile o dell’epifisi femorale che predispongono l’articolazione all’impingement già nel range of motion ordinario. Il ripetuto conflitto che ne deriva produce, oltre a una sintomatologia coxalgica, anche un danno articolare progressivo fino all’osteoartrosi.

Quando la testa femorale deborda sul collo sottostante attraverso una regione asferica detta “bump”, si realizza un cam FAI. L’impingement da cause acetabolari viene definito pincer FAI. Il  cam FAI, essendo molto lesivo per la cartilagine, è diagnosticato mediamente prima (III decade) e comporta un rischio di degenerazione artrosica precoce piuttosto alto, mentre il pincer FAI, essendo poco lesivo per la cartilagine, è diagnosticato in età più avanzata (IV-V decade) ed è accompagnato da una prognosi più favorevole.

Attualmente esistono tre modalità per eseguire l’osteoplastica di resezione:
– artrotomica con osteotomia trocanterica e lussazione;
– artrotomica per via anteriore senza lussazione;
– artroscopica.

I progressi della tecnica e degli strumentari hanno reso la chirurgia artroscopica in grado di risolvere la quasi totalità dei dimorfismi FAI-associati e di trattare efficacemente le lesioni condro-labrali secondarie.
E’ infatti possibile sagomare la giunzione cervico-cefalica e ridurre la parete anteriore attraverso frese motorizzate, reinserire il labbro acetabolare mediante suture ad ancora, favorire la riparazione fibrocartilaginea dei difetti condrali praticandovi microfratture.

Il protocollo riabilitativo

Le seguenti raccomandazioni riabilitative si fondano sulla letteratura più recente e sull’esperienza maturata.

Il protocollo postoperatorio ha  specifici obiettivi e modalità di progressione:
– Protezione dei tessuti sottoposti al trauma chirurgico e in via di guarigione
– Controllo del dolore e del quadro di flogosi
– Rapido recupero della mobilità articolare
– Riduzione dell’inibizione muscolare e recupero della forza
– Ripristino del controllo neuromuscolare e propriocettivo
– Normalizzazione dello schema del passo
– Ripresa dell’attività sportiva

La maggiore incidenza di questi pazienti in una fascia di popolazione giovane e attiva con esigenze di recupero funzionale qualitativamente di alto livello richiede una particolare attenzione nella progressione delle fasi. Essa viene calibrata non solo sui tempi dall’atto chirurgico idonei per la guarigione tissutale, ma su valutazioni in itinere del raggiungimento degli obiettivi di ciascuna fase per poter concedere il passaggio alla fase successiva.
Il protocollo riabilitativo viene stilato sulla base della procedura artroscopica eseguita che può comprendere non solo trattamenti di plastica osteocartilaginea di decompressione o ulteriori interventi di riparazione del labbro e della cartilagine, infatti la collaborazione fra ortopedico e fisiatra inizia dalle indicazioni del chirurgo sulla base della procedura eseguita relative a:
– Carico concesso
– Progressione nel recupero del range articolare
– Utilizzo del tutore

Le limitazioni del range of motion articolare e la cauta progressione dalla mobilizzazione passiva a quella attiva riflettono l’attenzione a ridurre lo stato di flogosi articolare e prevenire un processo di sovraccarico muscolare. Il carico tutelato anche senza procedure di microfratture previene il rischio di frattura da stress quando la giunzione testa-collo sia stata indebolita attraverso la procedura di fresatura del bump. Il limite di estensione a 0° e in particolare di extrarotazione risponde alla necessità di ridurre stress anteriore su labbro e capsula quando questi siano stati riparati: le altre limitazioni in flessione e abduzione dipendono dalla qualità dei tessuti e dalla tecnica di sutura.
La raccomandazione all’uso di tutori, riportata da alcuni autori (Wahoff et al), non trova nella nostra esperienza una reale utilità.
Nel rispetto di queste indicazioni viene iniziato il programma riabilitativo che in accordo alla più recente letteratura può essere suddiviso in 4 fasi:

Fase 1 : Protezione e massima mobilità 
Fase 2 : Controllo della stabilità 
Fase 3: Rinforzo muscolare 
Fase 4: Ritorno allo sport 

Fase 1: protezione e massima mobilità

Gli obiettivi in questa fase che comprende il trattamento precoce post operatorio rappresentano il necessario compromesso fra esigenza di recupero precoce e condizione post-operatoria:
1) Protezione dell’integrità dei tessuti riparati
2) Riduzione di dolore e flogosi
3) Recupero range articolare nel rispetto delle limitazioni della tipologia di intervento eseguita
4) Prevenzione dell’inibizione muscolare

Il trattamento postoperatorio prevede l’utilizzo di crioterapia e compressione elastica dell’arto. Ma possono essere adottate precocemente tecniche di massaggio cauto di drenaggio linfatico e tecniche di rilasciamento muscolare per evitare accorciamento dei flessori di anca anche mediante posture in decubito prono per 30-60 minuti due volte al dì a partire dal 2°-3° giorno.
Si inizia precocemente la mobilizzazione passiva con particolare utilizzo di movimenti di circonduzione normalmente eseguiti a 0° e a 70° di flessione di anca con rispetto delle limitazioni alle rotazioni nelle prime 2 settimane attendendo fino alle 3-4 settimane dall’intervento per un range articolare passivo completo. Anche la rotazione interna ad anca flessa nelle prime fasi deve essere eseguita con cautela per evitare sovraccarico dell’area di contatto della testa omerale con l’acetabolo. Può essere utilizzata la cyclette senza resistenza e a sella alta per evitare eccessiva flessione dell’anca quanto tollerato da paziente. Alla guarigione della ferita chirurgica anche l’idrokinesiterapia può essere introdotta nel programma grazie agli effetti di rilasciamento muscolare e alla possibilità di esecuzione di una mobilizzazione passiva protetta.
Il recupero muscolare in questa fase inizia dagli esercizi isometrici per il quadricipite, il medio gluteo e la muscolatura stabilizzatrice del bacino e dell’addome. L’esercizio deve essere effettuato senza dolore. Possono essere introdotti esercizi di flessione attiva dei muscoli ischio crurali da prono e di mobilizzazione attiva della tibiotarsica mentre gli esercizi per il recupero delle rotazioni vengono introdotti sulla base della tipologia di intervento.

Dalla seconda settimana si progredisce negli esercizi di rinforzo della muscolatura cingolare e quadrici pitale. Gli esercizi di rinforzo in carico sono solitamente introdotti dalla 4° settimana; il medio gluteo quale importante stabilizzatore sul piano frontale in carico monopodalico e durante il passo, può essere rinforzato con esercizi progressivi di abduzione dalla posizione supina alla stazione eretta che possono essere eseguiti senza extrarotazione e con bassa attivazione del flessore di anca. In questo protocollo riabilitativo si evitano le abduzione sul fianco per incremento dello forze agenti sull’acetabolo.
Per quanto riguarda le tecniche di stretching di quadricipite, ischio crurali e piriforme devono essere eseguite senza dolore; lo stretching degli ischio crurali può essere iniziato dalla 2° settimana; non risulta indicato lo stretching degli adduttori per una maggiore protezione del sito di intervento ma può essere utile un trattamento manuale cauto dei tessuti per ridurre tendenza a accorciamento di questi muscoli: il trattamento manuale di decoaptazione può aiutare a ridurre la sensazione di “pinzamento”. Lo stretching del muscolo ileo psoas può essere precoce ma eseguito cauto e senza dolore. Solo dopo la 4° settimana lo stretching viene introdotto nella modalità di maggiore tensione come il Thomas stretch e in postura accovacciata.
Se è stato realizzato un intervento di release dell’ileopsoas o della bandelletta ilio tibiale, si evitano rispettivamente gli esercizi di elevazione dell’arto e di abduzione sul fianco per evitare la flogosi dei tessuti in fase di guarigione.

Lo svezzamento dai bastoni canadesi viene realizzato sulla base delle indicazioni chirurgiche relative all’entità dell’ osso cruentato, al trattamento (debridement o riparazione) del labbro acetabolare e all’esperienza del chirurgo; cruciale risulta la capacità del paziente di deambulare con un corretto schema del passo senza Trendelemburg; viene consigliato un periodo di svezzamento di 1 -2 settimane per permettere l’acquisizione di questo controllo. L’idrokinesiterapia permette una modulazione del carico attraverso esercizi in catena chiusa e training deambulatorio a profondità progressivamente minori e carico progressivo .
Non viene utilizzato in questo protocollo il tapis roulant perché si ritiene che lo schema del passo che viene eseguito sulla pedana provochi un maggiore stress anteriore sull’acetabolo rispetto alla normale marcia.

Criteri di passaggio alla fase 2:
– assenza di dolore durante esecuzione degli esercizi
– mobilità in flessione fino a 100° senza sensazione di “pizzicamento” o intrappolamento dell’anca
– la tollerabilità del carico concesso senza dolore

Fase 2: controllo della stabilità

Obiettivi:
– Acquisizione di un normale schema del passo
– Recupero di range articolare completo
– Miglioramento del controllo neuromuscolare e propriocettivo
– Recupero della stabilità funzionale del rachide lombare e del bacino secondo il concetto della “Core stability “ ovvero del controllo della zona centrale del complesso coxo-lombo-pelvico come punto di reazione stabile per il resto del corpo.

In questa fase la mobilizzazione assistita prevede un range articolare completo comprese estensione e extrarotazione e l’introduzione della mobilizzazione attiva da parte del paziente. La dismissione dagli ausilii viene eseguita come si è detto contemporaneamente alla valutazione del complesso lombare – pelvi – anca e della catena cinetica dell’arto inferiore per correggere atteggiamenti disfunzionali da sbilanciamento muscolare e conseguenti alterazioni del baricentro e zoppia.
La possibilità di mobilizzazione dell’articolazione con meno limitazioni consente di introdurre progressivamente nuovi esercizi per il potenziamento e lo sviluppo della resistenza muscolare, come la flessione anteriore controllata in carico e in abduzione e estensione dell’anca per il rinforzo di grande e medio gluteo come negli esercizi a ponte .
Vengono eseguiti in questa fase esercizi per la core stability a partire dalle flessioni dell’anca da supino alle flessioni del ginocchio al petto in stazione eretta che facilitano l’attivazione del ileopsoas (con attenzione alla stabilizzazione del trasverso dell’addome in posizione neutra per non sovraccaricare il tensore della fascia lata). Possono essere quindi introdotti esercizi più complessi che coinvolgono più gruppi muscolari, per esempio la tecnica Pilates può essere un’integrazione a questa fase rieducativa.
In queste fasi possono essere effettuati esercizi di rinforzo per arti superiori e di recupero della resistenza cardiopolmonare per preparare adeguatamente questi pazienti al ritorno alle proprie attività evitando la frequente sensazione di perdere il loro livello di prestazione globale.
Verso la fine della fase 2 per i pazienti non sottoposti a microfratture si può iniziare corsa in acqua a profondità progressivamente inferiore come preparazione per la corsa a terra della fase 3.
Può essere iniziata in questa fase l’attività di pattinaggio e la cyclette con resistenza dalla 6° settimana.

Criteri di passaggio alla fase 3:
– Assenza di flogosi articolare e di segni di sovraccarico e irritazione muscolare
– Range articolare completo con residua limitazione nella rotazione esterna più recentemente introdotta.
– Cammino normale senza zoppia
– Esecuzione dei primi esercizi di tipo funzionale senza dolore e con buon controllo neuromuscolare

Fase 3: rinforzo muscolare

Obiettivi:
– Ottimizzare il processo di riacquisizione di equilibrio, controllo neuromuscolare e propriocettivo iniziato nella fase 2.
– Recupero della forza , della resistenza e del livello di prestazione cardiovascolare necessarie per iniziare la ripresa progressiva sportiva:
Le precauzioni da adottare in questa fase comprendono ancora l’utilizzo di esercizi che non riacutizzino un processo di flogosi articolare, non provochino il sovraccarico del flessore d’anca e degli adduttori evitando ancora l’utilizzo del tapis roulant e anche di stretching se accompagnato da dolore e le attività di contatto e alta velocità.

Gli esercizi adottati comprendono ancora l’attivazione glutei con esercizi di rinforzo in stazione eretta a carico e complessità progressive (tipologie di esercizio…..), esercizi di “core stabilization” senza sovraccarico di ileopsoas, stretching senza dolore, idrokinesiterapia.
Dal 3° mese viene introdotta gradualmente la corsa e viene concesso il ritorno ad attività lavorative non sedentarie evitando comunque il sovraccarico. La mobilizzazione realizzata attraverso circonduzioni passive viene continuata per un totale di 10 settimane e poi proseguite attivamente per altre 4 settimane.

I criteri per il passaggio alla fase 4, che prevede l’effettivo ritorno allo sport, sono rappresentati dal necessario recupero della forza e stabilità dinamica cingolare per un corretto schema del passo senza zoppia. Quindi esercizi non solo di rinforzo segmentario, ma anche di agilità e velocità per facilitare un progressivo recupero neuromuscolare e esercizi di tipo propriocettivo di livello più complesso dal controllo corticale all’attivazione dei meccanismi riflessi. Si inizia con esercizi semplici, lenti e brevi e noti e successivamente più complessi e rapidi e nuovi, si sottolinea l’importanza delle fasi di adeguato riposo alternate alle sedute di esercizi. Inizia in questa fase la differenziazione degli esercizi sulla base della specificità del tipo di sport praticato in precedenza: il passaggio alla fase 4, come da principio ispiratore di questo programma riabilitativo, è confermato non solo da un sufficiente tempo intercorso dall’intervento, a partire dal 4° mese, ma anche e più adeguatamente dalla corretta esecuzione dei test per l’anca funzionali allo sport, rappresentati principalmente da test di agilità (laterale, diagonale) e flessioni in carico monopodalico.

Criteri di passaggio alla fase 4:
– Esecuzione degli esercizi di fase 3 senza dolore e limitazioni articolari
– Superamento di sport test specifici.

Fase 4: ritorno allo sport

Obiettivi:
– Recuperare il massimo di forza e controllo
– Tornare a giocare
– Indipendenza nel programma di mantenimento
– Comprensione delle corrette precauzioni per la salute a lungo termine dell’articolazione
Non sussistono specifiche precauzioni da adottare;
Si completa il programma con training specifici di potenza, pliometria e performance sportiva.

Complicanze della fase riabilitativa

Un processo tendinitico a carico di ileo psoas, retto femorale e tensore fascia lata rappresenta un’evenienza che si può presentare nel postoperatorio e può rallentare i tempi di ripresa; un attento monitoraggio di un insorgenza precoce di questi sintomi rappresenta la modalità migliore di prevenzione con conseguenti modifiche delle attività più pesanti.
Piu’ rara evenienza è la limitazione del recupero articolare previsto; la strategia da adottare viene valutata sulla base dell’osservazione clinica di un blocco articolare accompagnato da sensazione di accorciamento muscolare e retrazione tendinea che viene trattata potenziando la fase di stretching; se il blocco della mobilizzazione risulta più anelastico come da reale ridotta escursione articolare possono essere adottate tecniche di terapia manuale di mobilizzazione in decoaptazione.